RICEVIAMO, VOLENTIERI PUBBLICHIAMO, NON NECESSARIAMENTE CONDIVIDIAMO, questo contributo di Sergio Farris
L’iperuranio delle astrusità
Dopo il lancio della sfida alla Commissione europea – con contorno di ostentata giubilazione sul balcone di Palazzo Chigi – la minaccia della procedura di infrazione ha costretto il Governo ad azzoppare la Manovra economica per il 2019 (10 miliardi in meno, di cui 4,6 a gravare sul reddito di cittadinanza e la quota 100 per i pensionamenti). Miracoli sciamanici del Fiscal compact che, sebbene ripudiato dal Parlamento europeo, continua – almeno per quanto riguarda il giudizio della Commissione sull’Italia – a costituire la pietra miliare della politica fiscale. Sono state sollevate, da più parti, varie questioni, anche piuttosto fondate, sulla qualità della spesa contemplata in Manovra (il cui deficit nominale è stato ridotto dal “terrificante” 2,4% al più contenuto 2%). Ciò non esime, tuttavia, dalla constatazione che i parametri posti a base del Fiscal compact andrebbero classificati nella categoria che loro spetta: l’iperuranio delle astrusità. Forse non tutti sanno che la Commissione europea ha coartato il Governo alla retromarcia sull’entità del deficit nominale perché il 2,4% non comportava la riduzione del – cosiddetto – deficit strutturale (si vedrà se questo avverrà con il 2%). Si tratta del deficit che il bilancio pubblico registra tenuto conto di elementi avversi del ciclo economico e di spese eccezionali. In pratica, in condizioni di mancato utilizzo di parte della capacità produttiva – ossia quando, in presenza di eccessiva disoccupazione, il Pil potenziale è maggiore del Pil effettivo – il deficit strutturale si assesta ad un certo livello, che è più basso del deficit nominale. Dunque, durante una congiuntura sfavorevole, le maglie del bilancio pubblico dovrebbero essere più lasche, consentendo un parziale stimolo all’economia. Tuttavia, secondo il Fiscal compact, il deficit strutturale deve, entro qualche anno, tendere verso lo zero (obiettivo di medio termine). Ebbene, secondo la metodologia di calcolo adottata dalla Commissione, l’Italia, a dispetto del tasso di disoccupazione ufficiale oltre il 10% (senza contare la galassia del precariato involontario), sarebbe ormai prossima al raggiungimento del Pil potenziale, ragione per la quale deve “riprendere” con la politica fiscale dell’austerità (incredibilmente, qualsiasi manovra tesa al miglioramento del reddito nazionale causerebbe solo maggiore inflazione). Il Pil potenziale dell’Italia è, ovviamente, molto più alto, per cui il deficit strutturale è molto più modesto di quello che, a detta di Moscovici & C., richiederebbe sforzi fiscali (secondo l’Ocse siamo addirittura, da tempo, già in surplus!). Ciascuno tragga le proprie conclusioni. E’ difficile tuttavia, non ricavare l’impressione che questa Europa vada impellentemente riformata in direzione contraria a quanto avvenuto negli ultimi anni. Attendiamo il lampo di genio di un governo illuminato affinché la questione vada portata e seriamente discussa a Bruxelles.


Massimo Bernacconi é l’anima di Candidati Senza Voce, nonché l’elemento trainante…